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Luigi Schiaparelli

Diplomatica e storia 

Pubblicato in «Annuario del R. Istituto di Studi Superiori, Pratici e di Perfezionamento in Firenze», Firenze 1909, pp. 3-31; rist. in Note di Diplomatica (1896-1934), a cura di Alessandro Pratesi, Torino, Bottega d'Erasmo, 1972, pp. 95-125.

Signore e Signori,
La consuetudine della nostra Facoltà letteraria, che l'anno accademico sia inaugurato dagli ultimi venuti, piuttosto che dai primi, toglie questa volta a voi ed a me il piacere di sentire un bel discorso. L'onorifico incarico è toccato proprio a me, che, per tacere del resto, professo una scienza molto povera di argomenti utili ad un tempo e dilettevoli.
Paleografia e Diplomatica rappresentano quanto di più arido si insegna nella nostra Facoltà, e ben lo sanno i nostri giovani, ai quali non ho certo il rimorso di risparmiare nella scuola questa proficua aridità. Dovrei bensì saperla risparmiare a voi in questa occasione, se non che un'altra consuetudine, più antica e più generale, impone l'obbligo di non allontanarsi troppo, neppure in occasione tanto solenne, dalla disciplina che ciascuno professa. E se non basta il richiamo a così generale consuetudine, basterà a giustificarmi l'appello, appropriatissimo nel caso mio, all'antico motto: ne, sutor, supra crepidam.
Vi parlerò dunque della Diplomatica, cercando di dimostrare quali e quanti legami essa abbia colla storia, quali e quanti lavori essa prepari in sussidio della storia. Donde, io spero, risulterà evidente l'importanza grandissima della Scuola di Diplomatica e l'indirizzo che convien darle.

Diplomatica, che, oggidì nessuna persona colta confonde con Diplomazia, vuol dire scienza dei diplomi, vuol dire indagine scientifica e metodica intorno ai diplorni. E diplomi sono, per una estensione di significato oramai generalmente ammessa, i documenti pubblici e privati, ecclesiastici e laici, privilegi di re, imperatori e pontefici, compre e vendite, livelli, donazioni, permute, testamenti..., e così via [1]. Insomma, tutte quelle carte che abbiano o possano avere valore di documento; sia questo valore storicamente massimo o minimo, la diplomatica non trascura nulla.
I documenti, oggetto del nostro studio, sono principalmente dell'epoca medievale, e sono generalmente in lingua latina; sicchè alla nostra scienza ricorre, e su di essa in gran parte si fonda, sopra tutto la storia medievale e la storia di quelle regioni nelle quali perdurò l'uso della lingua latina.
La storia del Medioevo non presenta più, in genere, problemi che direttamente si riflettano nell'odierna vita politica e sociale e si possano dire di attualità, tuttavia essa è sempre coltivata e frequenti continuano le pubblicazioni, specie di storia medievale italiana ? per il suo carattere che desta talora interesse universale. Ma è una produzione che non manda bagliori tali da impressionare il pubblico; ben inteso, il pubblico che non sia quello dei cultori speciali di storia.
È vero inoltre, che gli studiosi della storia medievale, e in particolare dell'alto Medioevo, si vanno facendo meno numerosi. Di questo fatto, più palese in Germania e in Francia che non in Italia, le cause saranno molte e varie, una ne è certamente la difficoltà di riuscirvi senza una preparazione metodica e dottrinale. È indispensabile, tra l'altro, una lunga e faticosa preparazione paleografica e diplomatica; dirò anzi, che senza larga e sicura base diplomatica non è possibile oggidì scienza storica del Medioevo.
Ma per faticosa che sia la preparazione, la diplomatica promette bella ricompensa a chi le si rivolga con fiducia e con abnegazione; ve ne persuaderete facilmente, sol che vogliate dare uno sguardo alle condizioni presenti della storia del Medioevo.
Le fonti della storia del Medioevo, come in generale quelle di qualsivoglia età storica, si possono distinguere in due grandi gruppi: l'uno di fonti narrative o letterarie, come annali e cronache, l'altro di documenti, cioè di certe scritture che contengono negozii di natura giuridica e sono rivestite di speciali formule atte a dar loro validità e fede pubblica.
Le fonti del primo gruppo, nel loro complesso, ci sono abbastanza note. Mancheranno edizioni buone o definitive dell'una o dell'altra cronaca, che mettano nella vera luce il loro preciso valore storico, ma queste fonti sono già state usufruite per la storia, almeno nelle parti essenziali; ed è molto difficile che si scoprano fonti nuove narrative di tale importanza da modificare le linee principali del racconto storico o da aggiungervi qualche notevole capitolo. È stato, infatti. possibile compilare eccellenti mannuali che riassumono il contenuto, espongono il valore storico, danno l'ermeneutica delle singole fonti. Questo materiale è pubblicato, e solo in casi speciali il cultore di storia sarà costretto a ricorrere ai testi manoscritti.
L'altro gruppo di fonti non ammette simili confini. Serie ricca e varia; pochi i documenti editi, infiniti gli inediti. Se a centinaia sono i pubblicati, migliaia e migliaia giacciono ancora ignorati negli archivi e nelle biblioteche: su papiro, su pergamena, su carta; sciolti, arrotolati, in registri, in cartolari, in protocolli notarili; a mazzi, a filze, a buste. Nè v'ha motivo a sperare che possano essere tutti pubblicati in un tempo non troppo remoto: forse per una gran parte di essi non si verrà mai ad una pubblicazione integrale. Non ne abbiamo un indice, non un sommario; ne ignoriamo l'entità e di conseguenza tutta l'importanza. I più noti sono i pubblici, i documenti di re, imperatori e papi; dei privati conosciamo quasi soltanto i più antichi, sicchè, data la quantità del materiale non ancora esplorato o studiato non esaurientemente o con intento troppo limitato, dobbiamo riconoscere di essere intorno a siffatte fonti molto, ma molto all'oscuro. Orbene, queste fonti, apparentemente così modeste rispetto alle cronache o agli annali con letteraria solennità composti, non soltanto sono più numerose e varie delle altre, ma non sono neppure meno importanti. Per assicurarcene basterà notare alcuni loro caratteri distintivi. Fra i due gruppi vi è differenza di origine, di trasmissione e di conservazione. Le fonti narrative si trovano nelle raccolte di manoscritti: il loro proprio luogo di conservazione è la biblioteca e la loro storia è connessa con quella delle biblioteche; i documenti invece hanno relazione coll'archivio e quivi è il loro posto. Le prime, specie le più antiche, sono compilazioni, fatte, nella maggioranza dei casi, da persone ecclesiastiche, per il clero o per un ristretto pubblico, onde prevale in esse un intento essenzialmente istruttivo e prendono un carattere, d'ordinario, religioso?morale; raramente, politico?sociale. L'impronta dell'autore non puo mancare: gli avvenimenti sono presentati quali apparvero agli occhi e alla mente del monaco, e non possono non risentire delle idee, della cultura, degli intenti suoi. Necessità quindi di uno studio critico intorno al cronista, per poter apprezzare nel suo giusto valore il racconto da lui compilato. In conclusione: queste fonti narrano, insegnano, ammaestrano; non vanno senz'altro ritenute tutte e per intero fonti storiche, molte sono in parte opere letterarie, alcune trattati scolastici, teologici, ecc.
Ben altra è l'origine deì documenti, e conseguentemente diverso è il loro valore storico. Sono testimonianze dirette, pervenuteci nella veste originale, della vita sociale?economica di un'età. Hanno base nel diritto, dal quale emanano. Sono frammenti vivi della storia di questo dirittro. In un'epoca come la medievale in cui talvolta poche legai si promulgavano e vigeva il diritto tradizionale o consuetudinario e quasi tutto si regolava sulla praxis, il documento, emanazione del diritto vigente, è per lo più fonte unica per la conoscenza di esso diritto. I documenti non narrano un fatto storico, sono essi stessi l'atto scritto giuridico?storico, che potrà, a dir così, servire di narrazione. Grande valore storico acquistano infatti quelle altre fonti narrative, quando si sappia o si possa dimostrare che i loro autori si son valsi dei documenti con intelligenza e con fedeltà. A questi documenti, che sono fonti storiche primarie, si rivolgono diverse scienze e diversi scienziati: storici e giuristi, paleografi e letterati, filologi e linguisti, ciascuno per interesse proprio scientifico. Ma c'è una scienza, che ad essi si rivolge disinteressatamente, che studia i documenti come documenti, che non ha ragione per volere o desiderare che attestino il fatto storico o giuridico o paleografico; essa vuole esclusivamente accertare, quanta e quale attendibilità abbiano, di quanta fides historica siano degni.
Questa scienza è appunto la Diplomatica. Ma pur disinteressata com'è, essa ha origine da un interesse storico; e al progresso degli studi storici si accompagna il progresso dello studio diplomatico, che si fa più intenso e tanto maggiormente affina i suoi strumenti di critica quanto più cresce l'interesse scientifico per la determinazione del fatto storico, sia grande o piccolo, riguardi esso la vita civile o politica di una persona, di una famiglia, di una città o di una regione, o qualsiasi manifestazione di operosità intellettuale, artistica, economica. Il faticoso lavoro della diplomatica trova ricompensa larga nei frutti che la sua indagine promette e certamente dà o darà poi. Essa infatti fornisce i materiali a chi voglia e sappia conoscere e rappresentare le condizioni politiche, economiche e sociali di un'età del nostro passato, lo stato intellettuale e morale di un popolo, l'evoluzione spontanea della lingua, del diritto, di usi e costumi che costituiscono il carattere di una nazione o di un'epoca. Non è quindi meraviglia, che la scienza del documento abbia origine nella storia in genere e si svolga in istretto legame colla scienza storica. Il progresso degli studi storici, diremo anche l'elevarsi del concetto storico, è in gran parte in relazione coll'importanza data al documento: a misura che l'indagine storica acquista severità di metodo, più severamente metodica diviene anche la critica diplomatica.
Antica, senza dubbio, è la critica del documento; antica, in certo senso, quanto il documento, quanto addirittura l'uso dello scrivere. Anche nell'antichità si dovette distinguere il documento vero dal falso; fin da allora si presero cautele minuziose per assicurare la sincerità degli atti scritti e per impedire l'opera malvagia dei falsificatori. Ma se antica è la critica occasionale del documento, non è antica la scienza diplomatica. Non diremo neppure che si inizii nel Medioevo col nome di un grande pontefice, che fu anche grande come giurista e uomo di stato, cioè con Innocenzo III, sebbene egli debba annoverarsi tra i maggiori precursori di questi studi per essersi occupato dell'autenticità e falsità di alcuni documenti pontificii e per aver cercato di fissare norme generali che vanno considerate come il primo tentativo di una critica sistematica delle bolle. Certamente nel Medioevo la critica dei documenti fu applicata in modo vario; ma non è ancora la critica moderna; è molto, troppo circoscritta; difficilmente ricorre ad argomenti distanti dall'epoca cui appartiene l'atto in discussione; dagli usi cancellereschi, dalle notazioni cronologiche, dalle peculiarità paleografiche non sa trarre metodicamente tutto quel partito che si può e si deve ritrarre; il concetto di falsità è ristretto e assoluto; le basta un solo punto controverso per rigettare l'intero documento come spurio.
Nella Rinascenza, lo studio dei documenti procede stretto colla storia, e, come questa, allarga e approfondisce il suo campo. Se da prima desta interesse quasi soltanto l'antichità classica, in seguito lo studioso rivolge l'attenzione anche ai documenti a lui più vicini, iniziando l'esplorazione degli archivi e delle biblioteche per la raccolta dei documenti che ora diciamo medievali. Ed eccoci a quel periodo o meglio a quell'indirizzo notevole negli studi storici che possiamo far principiare col Sigonio.
Altro grande impulso diede la Riforma. Da parte protestante come da parte cattolica si fecero studi e ricerche, sebbene non sempre disinteressate e scientifiche, sulle antichità della chiesa, sulle leggende e vite dei santi, sui documenti ecclesiastici: studi e ricerche che di necessità portarono contributi alla critica del documento in genere. Indice di quest'epoca è in Italia il Baronio co' suoi Annales ecclesiastici.
Fra tanto risveglio di indagine storica crescono però anche i cattivi germi, che, alimentati sopra tutto dall'interesse, da cause politiche o religiose, da ambizioni varie, portano a fabbricare falsi e sviano lo studioso dalla diritta strada. Alle falsificazioni antiche si aggiungono le nuove. Falsificazioni per celebrare l'antichità di chiese, monasteri e istituzioni diverse, per comprovare possedimenti territoriali e diritti varii; falsificazioni eseguite da eruditi, dettate da intento pratico o anche soltanto da ambizione, da vanità di onori; falsificazioni per chiese e monasteri, vescovati e canoniche, persone e famiglie, paesi e città. E la critica? Essa combatte delle vere battaglie, talora per mostrare il falso, talora per dimostrar genuino un documento che gli ipercritici hanno messo in dubbio; se non che, non sempre, o non interamente, sa collocarsi al disopra della questione di parte e di interesse; lo scopo stesso con cui si esercita la fuorvia e le impedisce di fare soltanto un lavoro di scienza. Data l'importanza o l'interesse della controversia, si fa una discussione di natura essenzialmente giuridica, e il documento è studiato, non per la verità storica pura, ma per il suo valore pratico giuridico, cioè per la fides forensis.
Ad intendere come da queste condizioni della critica storica sia sorta in un dato momento la scienza diplomatica, gioverà ricordare, che il centro dell'erudizione storica era nel XVII e parte del XVIII secolo la Francia. Compaiono allora, e proprio in Francia, le grandi collezioni dovute all'opera di varii eruditi, i quali si riuniscono in associazioni per aumentare l'intensità del lavoro e raggiungere risultati maggiori. Si intraprendono così da corporazioni religiose, da società, da accademie, pubblicazioni colossali, cui certamente sarebbero state impari le forze di un solo. L'opera compiuta da una sola Congregazione religiosa, dalla Congregazione benedettina di S. Mauro, in molteplici campi del sapere, desta tuttora l'ammirazione più viva; essa acquistò le maggiori benemerenze scientifiche con una serie di pubblicazioni generali e particolari e con raccolte di documenti. Il centro della Congregazione (Saint?Germain?des?Prés) divenne un grandioso laboratorio di studi, nella cui ricca e celebre biblioteca si raccolsero da monasteri di diverse regioni copiosi materiali, che menti elette seppero vagliare; e cosi ebbero i Maurini il vanto dì aver fondate le principali scienze sussidiarie alla storia, come la Diplomatica, la Paleografia greca, la Cronologia medievale.
Il Mabillon, che col trattato De re diplomatica creò, in certo qual modo, la nostra scienza, rappresenta la sintesi di un lavoro collettivo: egli è della Congregazione la mente migliore, che, servendosi di materiali raccolti e ordinati da lui e da altri monaci, si eleva tanto da spaziare nel puro aere della scienza. Spinto a scrivere il celebre trattato in difesa delle carte e della storia di un monastero appartenente al suo ordine, seppe col forte ingegno allargare il campo dell'indagine, e da una causa piccola e di intento pratico assurgere ad una questione puramente scientifica e di vero interesse generale: trovò in tal modo le regole fondamentali per lo studio dell'autenticità dei documenti. Il nuovo indirizzo che fa capo a lui, esercitò grande e vasta efficacia, non solo nel campo speciale della diplomatica, cioè nei trattati e negli studi particolari diplomatici, che numerosi si ebbero nel secolo XVIII; ma anche nelle pubblicazioni storiche dei varii paesi, le quali furono ora condotte sulla scorta di documenti vagliati con critica più severa e più metodica, e nella edizione più accurata dei testi. Tutte le compilazioni italiane di diplomatica, dal grande Scipione Maffei al Fumagalli, seguono le orme del Mabillon; a lui pure si collega per la critica dei documenti il padre della nostra storia, L.A. Muratori, al quale, alla sua volta, fa corona una gloriosa schiera di storici locali: il Lupi, il Tiraboschi, l'Affò e moltissimi altri.
Non ostante questa produzione storica, la diplomatica nel secolo XVIII, che pure si era estesa e veniva insegnata dalle cattedre universitarie, non progredì tanto da fare un passo decisivo nel suo sviluppo oltre il punto in cui l'aveva lasciata il Mabillon. Si raccolsero nuovi materiali, crebbe con questi il corredo per la critica, ma lo sviluppo ulteriore della diplomatica era tuttavia inceppato da regole altrettanto assolute quanto arbitrarie, indotte spesso da materiale o troppo ristretto o non sufficientemente vagliato; agli intenti talvolta specialissimi non rispondeva specializzazione di metodo critico; si oscillava tra il pericolo di affermazioni e deduzioni generiche, ricavate da documenti di originalità o di autenticità dubbia o dei quali si esagerava il valore specifico, e il pericolo, non minore, di porre la scienza a servigio di cause piccole e di intenti pratici.
Quand'eccoci alla Rivoluzione Francese, che sopprime privilegi e corporazioni, pone su nuove basi il diritto pubblico e privato. Colle nuove condizioni giuridico?sociali, venne a mancare l'occasione di dover ricorrere per iscopo pratico ai documenti antichi; e in tal modo fu assicurato lo sviluppo della diplomatica liberandola dal pericolo di essere traviata da intenti non esclusivamente scientifici.
Rimaneva il primo pericolo, e solo nell'età nostra lo ha tolto di mezzo Teodoro von Sickel, vero ed illustre fondatore della moderna diplomatica speciale.
L'opera del Sickel è conseguenza legittima del rinnovamento e del mirabile progresso degli studi storici in Germania nei primi decennii del secolo XIX: e questo spiega come e perchè appunto la Germania sia stata e sia tuttora il centro più fecondo di studi diplomatici.
Tale rinnovamento della scienza storica fu in gran parte dovuto all'applicazione della filologia e del metodo critico filologico alla indagine storica. Vi concorse anche il romanticismo, dando nuovi impulsi alla storia nazionale. Lo studio storico in genere, in particolare la ricerca e lo studio dei documenti, si ravviva allora col sentimento dell'amor di patria, che attinge forza e si prepara ai suoi gloriosi destini nella conoscenza del passato.Tutta l'Europa civile, in varia proporzione, partecipa a questo movimento, scientifico insieme e patriottico.
In Francia, il re Luigi Filippo si fa una gloria di proteggere gli studi storici; un suo ministro, il Guizot, gli scrive nel 1833, che solo ad un governo spetta il dovere di compiere una pubblicazione generale di tutti i materiali importanti e ancora inediti sulla storia della patria, e istituisce (1834) presso il Ministero dell'Istruzione Pubblica quella Commissione storica che porta il nome, dopo il 1881, di Comité des traraux historiques et scientifiques.
In Italia, sorge la prima Deputazione di storia patria, e sorge naturalmente nel piccolo Piemonte. Carlo Alberto, col decreto di fondazione del 20 aprile 1833, proclamava: "Gli studi storici sono oggidì, più che nol fossero mai, in meritato onore presso le meglio colte e le meglio incivilite nazioni; ed il favoreggiarli è uffizio di Principe cui stia a cuore e la propria e la gloria dei popoli sottoposti al suo reggimento ... Ci è quindi sembrato essere venuto il tempo in cui abbia ad essere appagato un antico desiderio degli amici dei buoni studi, mercè la pubblicazione di una Collezione di scrittori della nostra storia, le opere dei quali sono inedite o rare, e di un nostro Codice diplomatico".
L'esempio era partito dalla Germania. Quivi, un eminente uomo di stato, il barone von Stein, sentito il vivo bisogno della sua nazione, oramai preparata a vita politica indipendente, di raccogliere le memorie del passato per porre le basi del suo rinnovellamento politico e scientifico, aveva progettato la Società per la pubblicazione degli antichi documenti della storia tedesca, la quale costituitasi nel 1819, col motto Sanctus amor patriae dat animum, pubblicava nel 1826 il primo volume dei celebri Monumenta Germaniae historica, che furono e sono tuttora una scuola del moderno metodo storico. I nomi del Pertz e del Waitz, del fondatore scientifico e del riorganizzatore dei Monumenta Germaniae, non hanno bisogno di illustrazione.
Il barone von Stein ben comprendeva l'importanza speciale dei documenti, ed ebbe a dire: Si impara la storia interna del popolo tedesco meglio dai documenti che dalle cronache. E queste parole egli le rivolse a G.F. Böhmer, proprio a quell'uomo eminente a cui doveva far capo il moderno studio dei diplomi.
Il Böhmer spese gran parte della vita a compilare i regesti dei diplomi dei re e degli imperatori Romani, e provvide con speciale istituzione, acciò il suo lavoro continuasse e venisse migliorato, secondo le nuove ricerche archivistiche e i progrediti studi critici?storici, anche dopo la sua morte. Questo lavoro, pur tanto semplice e apparentemente facile, permise allo studioso di abbracciare il complesso di documenti emanati dai singoli sovrani, e rese possibile, mettendolo a conoscenza del materiale conservatoci, studi speciali e completi intorno a re e imperatori. L'opera del Böhmer, seguita subito da quella dello Stumpf?Brentano, estesa dal Jaffé ai documenti pontificii, ebbe importanza grandissima, tale da doversi annoverare fra i fattori principali dei moderni studi storici.
Appunto in tanto fervore di studio dei diplomi sorge il Sickel colla sua opera: Die Lehre von den Urkunden der ersten Karolinger (Wien 1867). Egli impiega più di 400 pagine per la trattazione diplomatica speciale di pochi diplomi di un ristretto periodo di tempo, dall'anno 751 all'a. 840. Ma precisamente mediante questa specializzazione egli riuscì a far progredire di tanto la scienza diplomatica. Studiando i particolari di un limitato gruppo di documenti compì un'opera vasta, poichè entro questi ristretti confini potè dominare da cima a fondo tutto il materiale ed esaurirne l'esame critico. Nel nuovo metodo da lui applicato e nella vasta ed esauriente indagine di ogni singolo gruppo di documenti sta il segreto del progresso presente e futuro della nostra scienza.
Quale è questo metodo?, direte; era necessario un metodo speciale per tale disciplina, quando il metodo storico aveva prodotto quei lavori di edizioni critiche che ammiriamo nei primi volumi degli Scriptores nei Monumenta Germaniae historica?
Nelle fonti narrative ha interesse e valore quasi soltanto il contenuto, di rado la forma, e il metodo critico si esplica essenzialmente nello studio sistematico della così detta tradizione, manoscritta o stampata, della fonte. Nei documenti invece, se in primo luogo vale il contenuto, non deve mai essere trascurata la forma: dalla forma ricaviamo i migliori elementi per la critica del testo. Occorreva quindi per lo studio dei documenti un metodo speciale, che permettesse di riconoscere e di valutare con sicurezza i documenti originali, quelli cioè a noi pervenuti nella forma precisa in cui uscirono dalle cancellerie o furono scritti, per ordine dell'autore, da pubblico notaro; e i documenti autentici, quelli che corrispondono alle regole cancelleresche o notarili. Questo metodo è quello del confronto: applicato ai documenti ritenuti o supposti originali, esso permette, col confronto della scrittura, di riconoscere la mano o le mani che attesero alla loro compilazione, e quindi dimostra l'originalità; applicato alle copie, col confronto dello stile o meglio del dettato, porta a dimostrare l'autenticità. Gli originali costituiscono la base sicura, di certezza assoluta, per la critica diplomatica; ne sono la vera pietra di paragone. Naturalmente la dimostrazione può talora rimanere imperfetta per mancanza di elementi di confronto.
Il Sickel, applicando questo metodo, mentre ci ha dato la diplomatica speciale dei primi sovrani Carolingi, ha posto le basi della diplomatica generale imperiale e reale; il Ficker ne consolidò con nuove ricerche i risultati; lo stesso Ficker e il Brunner, studiando poi con egual metodo le carte, hanno iniziato gli studi critici di diplomatica privata.
Con questi tre nomi di illustri maestri siamo nel fecondo periodo della diplomatica moderna.

La Diplomatica è scienza ed arte; nuovi elementi di cultura apporta il suo studio.
Vi parrà forse esagerata tale affermazione; tanto più volentieri quindi, per averne la prova, acconsentirete ch'io dia uno sguardo, sia pure molto rapido per la necessità del momento, ai lavori che la nostra disciplina prepara in sussidio della storia.
La diplomatica, l'abbiamo accennato, si andò svolgendo per venire in aiuto alla storia, che voleva districarsi il cammino dalle numerose falsificazioni; infatti si propose da prima, come unico scopo, di discernere il vero dal falso e fu definita: ars secernendi antiqua diplomata vera et falsa. Ed è questo ognora l'oggetto principale delle sue ricerche; ma risponde alle esigenze di un tale lavoro, conforme ai nuovi bisogni dei progrediti studi storici, con una precisione e con una sottigliezza di indagine da portare a risultati sorprendenti. Distingue la falsificazione diplomatica dalla storica, poichè anche un diploma uscito da una cancelleria, anche un atto privato scritto da notaio possono contenere un racconto storicamente falso: così documenti con testo vero possono avere una falsa veste. Indaga i varii gradi o periodi della fattura del falso, dimostrando se la falsificazione sia intera o parziale, con quali criteri e a quali mezzi ricorrendo si sia voluto simulare un documento nuovo; distingue le interpolazioni, le aggiunte e le modificazioni varie apportate al testo primitivo da più mani e in tempi diversi. Il falso ci appare così sotto una duplice luce, poichè si mettono a confronto due periodi storici diversi, l'antico cui vorrebbe riterirsi la falsificazione, e il nuovo della data del falso. Il falso conserva non di rado un valore storico, almeno per l'età in cui è stato fabbricato; quindi in tutto questo studio critico, mentre si distrugge, talora si ricostruisce.
Se non che la diplomatica non si limita a questo lavoro, non perchè non abbastanza importante, non perchè il materiale su cui dovrebbe esercitarsi sia prossimo ad essere tutto vagliato; ma perchè, potendo essa ora applicare il suo metodo, si svolge con intenti proprii, tende e riesce a impartire cognizioni nuove alla storia, quali questa non pensava di acquistare dalla scienza chiamata in suo aiuto contro le falsificazioni.
Basterà ricordare questi principii, veri canoni della diplomatica come è intesa oggidì, per comprender subito quali e quanti risultati si possano ottenere col suo studio: ogni documento è un organismo costituito di varie parti, che prima di essere perfetto, di raggiungere cioè la forma definitiva quale appare a noi, dovette passare per tutto un processo o periodo di elaborazione, cosicchè nella sua struttura interna ed esterna non si deve vedere ad ogni costo una unitas acti, che anzi restano spesso tracce e segni evidenti degli stadi del suo divenire; inoltre ogni documento, che fu originariamente un negozio o atto giuridico, è un prodotto proprio di una data epoca in un dato territorio, e non solo il contenuto, ma la struttura, anche le più insignificanti formule o modificazíoni di formule non possono non essere in relazione.colle condizioni giuridico?storiche di una data età, delle quali sono ora testimonianza storica.
Mediante l'esame dei particolari, e applicando rigorosamente il metodo del confronto, essa ha portato e porta tuttora nuovi contributi alla paleografia, all'archivistica, alla cronologia, alla sfragistica; delle cancellerie scopre il funzionamento, riconosce gli ufficiali, anche quelli anonimi, e mostra la loro partecipazione ai singoli lavori della fattura; risale, alla fonte di ogni documento, traccia l'itinerario dei sovrani. E quando dallo studio dei particolari passa ad esporre i caratteri generali dell'istituzione cancelleresca, quando narra la storia del capo della cancelleria e degli ufficiali inferiori mostrandone l'attività, l'importanza ? che in taluni periodi fu solo politica ? e l'influenza esercitata entro e fuori l'ufficio, offre allora alla storia un capitolo ricco di nomi e di fatti o nuovi o più esattamente precisatì: meglio ci è dato, invero, comprendere la politica del sovrano, quando conosciamo le persone di fiducia e più influenti che lo circondavano, quelle persone che dettero la vera impronta, e non soltanto letteraria, ai diplomi.
Fermiamo la nostra attenzione sul carattere e sull'interesse generale, diremo anche internazionale, che possono prendere le ricerche diplomatiche.
Il territorio donde proviene il documento, è quello fissato dalla storia e dal diritto; e a questo territorio dev'essere sempre rivolto lo sguardo dello studioso. Or non dobbiamo dimenticare, che l'Italia medievale fu per secoli divisa in tre grandi parti: il territorio romano, il greco?bizantino, il longobardo, e che tutte le manifestazioni della sua vita, del suo diritto, della sua arte ricevettero impronta speciale, con caratteri di cui si serban tracce fino ai tempi nostri; e però le cancellerie dei dominatori che ressero successivamente il nostro paese, sentirono di necessità gli effetti di questa condizione, dirò geografico?etnografica, e i documenti che esse emanarono ne portano impressi i segni.
Succede nella diplomatica quello che si verifica nella storia: continuità e correlazione di fatti, grandi e piccoli. È tutta una gran rete, della quale lo studioso può trovare gli anelli del collegamento in lunghezza, che mostrano la continuità di svolgimento, e quelli dei collegamenti in estensione o laterali, che svelano i rapporti, i contatti, le influenze reciproche.
Osserviamo. Dalla cancelleria romana degli ultimi tempi si passa alla cancelleria degli Ostrogoti, a quella Longobarda, a quella dei Carolingi; con questi ecco apparire un nuovo affluente, scaturito pure dalla cancelleria romana, ma ingrossatosi con altre acque, quali le cancellerie dei Merovingi e dei Maggiordomi. Come l'unità politica e amministrativa sotto i primi Carolingi porta ad uno sviluppo e ad un consolidamento di alcune istituzioni che informeranno quasi tutto il Medioevo, così appunto durante il loro governo, specialmente sotto Lodovico il Tedesco, anche l'istituzione cancelleresca pone le sue solide basi, con quei caratteri speciali che daranno l'impronta generale al tipo della cancelleria di re e di imperatori. Si forma in tal modo un gran filone, che continua a traverso tutte le cancellerie che si succedono; naturalmente, continua con una certa varietà, chè il percorso non fu diritto e non fu uniforme: si staccano alcune cancellerie dalla centrale, altre sorgono accanto ad essa, e cause diverse portano a modificazioni, sia nell'organizzazione cancelleresca, sia nei caratteri dei singoli diplomi.
Già nel periodo del maggior accentramento del governo carolingio, certi diplomi, sebbene usciti dalla stessa cancelleria, lasciano scorgere caratteristiche a seconda dei paesi cui appartengono i loro destinatari, siano questi chiese o monasteri, marchesi o conti, fideles laici od ecclesiastici, caratteristiche le quali vanno crescendo e delineandosi colle spartizioni dell'impero. Incomincia fin da allora una diplomatica che diremo nazionale: distinguiamo i diplomi italiani dai francesi e dai tedeschi. Lo studio dei diplomi italiani a partire da Carlo Magno, lo studio delle cancellerie dei Re d'Italia da Berengario I a Berengario II e Adalberto non si può scindere da quello generale dei diplomi carolingi, particolarmente dei Carolingi tedeschi, tanta ne è la dipendenza, tanto stretti sono i legami; così il periodo dei nostri re nazionali ha un'importanza grande per comprendere i caratteri generali e particolari della cancelleria italiana dell'impero, istituita, come necessità di governo richiedeva, da Ottone I. Dell'influenza bizantina, che fu forte sebbene a intervalli, durante quasi tutto il Medioevo, riscontriamo tracce già nei documenti più antichi. anche nei diplomi carolingi, tanto nei caratteri interni ed esterni, quanto nelle cariche della cancelleria. Sul suolo della Sicilia funzionerà presto la cancelleria dei Normanni, la quale, conforme al carattere di accentramento proprio dell'amministrazione Normanna, di cui risentirono tutte le istituzioni del regno, ebbe un'impronta speciale; ma molto appresero i Normanni dai precedenti dominatori, dagli Arabi, specialmente per quanto concerne l'ordinamento amministrativo. Gli Svevi in parte imitarono, in parte ereditarono questo stato di cose, e per conseguenza stretti sono i legami della diplomatica degli ultimi Svevi con quella Normanna; da questa poi, sul tronco Svevo, si passa all'Angioina e all'Aragonese. Antico è l'influsso francese, che si riscontra forte già nella cancelleria dei Normanni, e le cui prime tracce risalgono fino ai tempi di Carlo il Calvo. Per lo studio dei diplomi italiani di Lodovico III di Provenza e di Rodolfo II di Borgogna, per i diplomi di Ugo e di Lotario, non possiamo trascurare il confronto degli usi cancellereschi di Francia.
Coi secoli XII e XIII entriamo in un nuovo periodo storico. Notiamo allora una certa unità di indirizzo, di intenti politici e di interessi varii, che portano ad un accostamento di nazioni e di popoli. La storia anche dei piccoli stati, come dei nostri comuni e delle nostre signorie, si innesta alla storia generale; i principali centri politici e le scuole di cultura esercitano una reciproca influenza, che favorisce di necessità una certa concentrazione e assimilazione di usi e di forme. Naturalmente, a questi fatti, ricchi di manifestazioni varie nel campo politico e letterario, e allo svolgimento derivatone, non poteva sottrarsi la cancelleria come ufficio ed organo della politica.
Della cancelleria pontificia, quanto non si avrebbe a dire! Emerge in tutto il Medioevo, rispecchiando e illustrando, massime in alcuni periodi, la storia del papato. Ha imitato, come alla sua volta fu presa a modello. Se riflette in certi momenti le relazioni coll'impero, in altri rispecchia le relazioni coi Bizantini, coi Normanni, cogli Angioni, cogli Aragonesi e così via. Data l'universalità del Papato, si comprende poi come l'istituzione sua cancelleresca e il documento pontificio abbiano trovato numerosi imitatori quasi in tutte le cancellerie dei sovrani che ebbero rapporti con Roma.
Nè lo studio dell'istituzione notarile e del documento privato offre diplomaticamente minore interesse. Applicando il metodo diplomatico a siffatti documenti, conseguiremo nell'esame dell'originalità o dell'autenticità, dei caratteri estrinseci ed intrinseci, i risultati che si ottengono col documento pubblico. Preziosi elementi storici balzano fuori da un vocabolo, da una formula, anche dei documenti meno importanti, come semplici atti di vendita, di donazione, di livelli, compiuti da persone ignote.
Troppo dovrei dilungarmi se volessi fare una rassegna di esempi; ma non voglio omettere di ricordare l'importanza che per la storia civile può acquistare la formula di datazione, la quale non di rado riflette le condizioni storiche del momento. La formula dell'era del principato coi nomi dei dominatori: imperatori, re, pontefici; delle autorità minori, laiche ed ecclesiastiche: marchesi, duchi, conti, principi, consoli, podestà, vescovi e abbati, può rappresentarci, a guisa di carta topografica, i territori, le città, i paesi che riconoscevano un'autorità od un'altra; in certi periodi poi, come quando si hanno più dominatori o competitori al governo, quando si hanno scismi, la formula del documento è una fonte preziosa per la storia politica. Ora, indicando gli anni del governo, fornisce elementi preziosi a completare o a correggere quelli delle altre fonti; ora contiene vocaboli o espressioni di puro valore storico, che sono la voce del notaio, il quale, dimentico per un istante del rigido formulario, parla come un cronista contemporaneo.
In generale, le formule dei documenti privati possono presentare un interesse maggiore di quelle dei pubblici, siccome quelle che escono dal cerchio chiuso di un ufficio per meglio riflettere usi e tradizioni di un'età e di un dato territorio giuridico.
Perfino la posizione che occupa una formula ha il suo significato. Noi ci figuriamo la sottoscrizione notarile come unica e fissa in calce del documento; orbene, in alcuni gruppi di carte è collocata anche in principio, in altri dopo il testo e prima delle sottoscrizioni; queste non chiudono dovunque la parte espositiva del documento, ma si possono talvolta trovare in principio. Tale diversità non è senza un perchè.
Anche la forma o l'aspetto materiale in cui ci sono pervenute alcune carte può assumere un valore particolare se messa in relazione col genere dì atto. Ricorderò quanto si nota in carte bilaterali dello stesso tenore. Chi di voi ha frugato negli archivi, poniamo in quelli di Firenze, ricorderà di aver trovato certi documenti antichi privi della parte inferiore, cioè di tutte le sottoscrizioni, o di alcune dí esse, o anche soltanto della sottoscrizione notarile; e avrà supposto senz'altro che la pergamena sia a noi giunta incompleta o danneggiata da un taglio; ma se noi allarghiamo l'osservazione, non dimenticando il contenuto, troveremo che questo fatto si verifica d'ordinario nelle carte di livelli: la pergamena coll'avvertita particolarità è l'esemplare che doveva rimanere presso il concedente (dominus). Tali differenze e tali particolarità non dipendono dal capriccio del notaio, non sono irregolarità nè eccezioni; sono bensi espressione dell'uso giuridico in uno speciale territorio, in una determinata epoca.
Ogni piccola osservazione intorno ai caratteri estrinseci può portare un contributo alla conoscenza del valore giuridico e storico della carta. Ad esempio, l'esame della scrittura e dei segni autografi nelle sottoscrizioni ci illumina sul valore da assegnarsi alla formula stessa di sottoscrizione, vale a dire se la persona o le persone nominate siano state presenti e abbiano partecipato alla procedura della documentazione.
Questo esame dei caratteri estrinseci giova a riconoscere le singole scuole notarili, a studiare il divenire della carta, a correggere errori, a spiegare eccezioni e irregolarità.
E di quanto interesse non sono gli studi intorno all'influenza esercitata dalle cancellerie sul notariato, cioè intorno alle imitazioni dell'atto privato dal pubblico! Anche nelle nostre carte si ripercuotono le condizioni politiche tra Stato e Chiesa, le lotte comunali, le gare ecclesiastiche. Bellissimo esempio ci offre il documento vescovile, che in certi momenti si accosta, imitandolo, al documento pubblico, che sarà il diploma di re o di imperatore o più specialmente la bolla pontificia; e troveremo la spiegazione di questo fatto nelle tendenze politiche, nei maggiori o minori legami gerarchici dei vescovi, nelle influenze letterarie dell'epoca.
Vìceversa, il documento pubblico si accosta talvolta all'atto privato. Scrittori privati o notai pubblici sono adibiti provvisoriamente per la scrittura, qualche volta anche per il dettato, di diplomi e di bolle; formule delle carte private passano nei documenti cancellereschi; alcuni atti privati vengono confermati dall'autorità pubblica senza ricorrere alla redazione di uno speciale diploma, ma solo apponendovi una formula o un segno di corroborazione o la sottoscrizione dell'autorità stessa.
Le due istituzioni, la cancelleresca e la notarile, hanno troppi punti di contatto e di collegamento, perchè l'una possa studiarsi indipendentemente dall'altra. Il notariato, la grande officina per la redazione scritta degli infiniti e multiformi negozii, è istituzione prettamente italiana, ereditata dal giure romano, la quale vigoreggia in tutto il Medioevo, estendendosi dall'Italia ad altre nazioni. La sua storia è uno dei capitoli più importanti delle nostre istituzioni; s'impara a conoscerla, specie per il periodo antico, quasi soltanto dai documenti. Molte innovazioni, molti caratteri delle cancellerie sono dovuti appunto all'influsso del notariato. Mentre le cancellerie medievali, a principiare dalle carolingie, sono composte di ufficiali ecelesiastici, il notariato prende fin dall'età longobarda, salvo eccezioni limitate a rari luoghi e a determinati momenti, spiccato carattere laico. E se il laicato penetra in seguito nelle cancellerie, da prima nella Normanna e poi sotto gli ultimi Svevi nella cancelleria dell'impero, è per influsso dell'istituto notarile.
Quando il notariato ebbe raggiunto il suo massimo sviluppo divulgandosi anche fuori d'Italia, quando ogni fede contrattuale fu riposta nell'atto che redigeva il notaio e crebbero in modo vario le scritture, allora il diploma si trasformò gradatamente, e, sotto un certo aspetto, decadde: cambiando forma, andò prendendo diverso valore. Ai notai ricorsero imperatori e re. Rimontano al secolo XII esempi di atti notarili con disposizioni sovrane. Sotto Enrico VII, sotto Lodovico il Bavaro, sotto Carlo IV e Venceslao, ufficiali della cancelleria fungono anche da pubblici notai, e documenti cancellereschi sono redatti in forma di istrumenti. Un passo più decisivo si fa nel secolo XV: alcuni documenti di Sigismondo, usciti dalla cancelleria, muniti di sigillo, sottoscritti e registrati, portano l'autenticazione di uno o due notai.
Evidentemente maggiore fides pub1ica derivava al diploma dalla sottoscrizione di pubblico notaro.

Se non fossi costretto ad affrettarmi verso il termine del discorso, vorrei ancora parlarvi di nuovi campi di ricerche aperti alla diplomatica. Alludo allo studio degli acta, cioè di quelle scritture che hanno servito o dovevano servire per la redazione del documento, scritture preparatorie o di corredo del documento, del quale non hanno la veste e non ebbero tutto il carattere giuridico, ma che pure vanno vagliate come fonti storiche. È una serie ricca, che comprende le notizie (sul dorso o sul diritto della pergamena), i formulari, le testimonianze, le dichiarazioni varie, ecc. Oltre agli acta alludo alle litterae, le quali, sebbene si scostino dal vero documento, del quale non hanno il carattere giuridico, e formino in senso stretto un gruppo speciale, tuttavia, in certi periodi e a seconda dei generi e degli autori, possono come il documento assumere valore storico, e le loro formule e il loro contenuto vengono talora quasi a confondersi colle rispettive formule e col contenuto del documento. La critica ha in queste scritture, numerose e varie più di quanto non a tutti appaia, un materiale prezioso da vagliare, e ne trarrà di certo contributi notevolissimi alla storia civile.
Abbiam parlato esclusivamente di diplomatica medievale, ma la nostra scienza può, anzi deve, estendersi anche ai documenti della storia moderna; e applicando ad essi e alle loro raccolte il metodo diplomatico, si raggiungono risultati simili a quelli avvertiti. Lo studio dei caratteri estrinseci e dei particolari apparentemente più insignificanti porta a meglio conoscere sotto varii aspetti anche il documento moderno, a indagarne l'origine e lo svolgimento, a lumeggiarne il testo.
Mentre nelle nostre ricerche non si deve scostare l'occhio dal territorio storico?giuridico in cui il documento è sorto, bisogna altresì considerare l'atmosfera letteraria e artistica nella quale si è svolto, poichè l'indirizzo letterario e artistico di una età, come fa sentire il suo influsso in ogni manifestazione del pensiero, non può non aver lasciato tracce nel testo o nei caratteri estrinseci dell'atto scritto.
Ed ecco come anche nel campo dei nostri studi, pur tanto speciali, si aprano chiari, vasti orizzonti.

Signore e Signori,
È molto probabile che io non sia riusciuto a dimostrarvi l'importanza della scienza che professo; indubbiamente avrò dimostrato a quanta aridità quelle indagini si accompagnino, in parte per necessità, in parte anche per colpa dell'espositore. Ma, dopo tutto, non è stato un gran male se è mancata a me l'attitudine, e anche un po' la volontà, di parlarvi in forma geniale di questa disciplina, la quale non vuole attrarre con lusinghiere apparenze, tanta è la consapevolezza del suo valore.
La sua sorte è così connessa a quella della storia, che, come questa è sicura del suo avvenire. Finchè sarà in onore la storia, o meglio finchè col nome di storia si intenderà ricerca, studio disinteressato e oggettivo della verità storica, ed esposizione, quanto si voglia geniale e soggettiva, ma fondata sulle solide basi del fatto storico, non potrà non essere in onore anche la scienza nostra; ogni progresso, ogni trionfo della storia vorrà sempre dire progresso e trionfo della sua ancella, la scienza del documento. La diplomatica è modesta ancella della storia, ma superba ad un tempo, superba di quello che la sua gloriosa signora può e deve invidiarle: l'oggettività calma e serena nella ricerca e il rispetto incondizionato ai risultati. La diplomatica, avendo il dovere di non preoccuparsi del valore intrinseco del documento riguardo alla costruzione storica cui può servire, obbligando lo studioso a fare della scienza pura, porta a risultati che sono di uguale valore per le più opposte tendenze storiche, fa quindi un lavoro ad esclusivo vantaggio della scienza storica ? e per storia intendo ogni forma di sapere storico: storia giuridica, ecclesiastica, civile e politica, delle lettere e delle scienze, delle. arti e dell'economia pubblica e privata. Questa invidiabile condizione sua non può non guadagnarle il favore degli studiosi ed invogliare alle sue indagini un non troppo esiguo numero di giovani.
Ma negli studi nostri non manca neppure l'altra grande attrattiva, del lavorare su materiale nuovo, chè, come abbiamo ricordato, numerosissimi sono i documenti che giacciono tuttora inesplorati o furono studiati con intenti e metodi ben diversi dai nostri. Al progresso della nostra scienza difettano ancora molti mezzi; e gran vanto sarà di quelle persone, di quelle società o accademie, di quei governi, di quelle associazioni internazionali che, promovendo le grandi raccolte critiche, avran reso possibile un fecondo lavoro nel campo della diplomatica particolare e in quello della diplomatica generale, più difficile a dominare perchè più complessa e generica.
Naturalmente è tutt'altro che roseo il cammino che il diplomatista percorre fra vecchie pergamene e carte, spesso male scritte e malissimo conservate, irte di abbreviazioni e di formule astruse, zeppe di errori di grammatica e di logica, di storia e di cronologia, ricche di espressioni ambigue ed incerte; fra documenti di non sicura autenticità, che ad ogni linea sollevano piccoli e grossi problemi di varia natura, che pur convien sciogliere ad uno ad uno se si vogliono ottenere risultati apprezzabili. Un'abbreviazione, una parola, una formula, una data vi obbligherà a studiarla chi sa quanto: e le persone che vogliono essere di spirito vi chiameranno pedanti. Ebbene, la diplomatica, e fortunatamente non essa soltanto, non può fare a meno di codesta pedanteria. Dai particolari, dai minutissimi particolari essa si muove, e di particolari si arricchisce; ma per poter assurgere a norme generali di critica. Talora sono appunto i particolari che sciolgono le difficoltà grandi: basta una formula, ben studiata e chiarita, per gettare nuova luce storica.
La diplomatica, dovendo ricavare le regole sue dallo studio dei documenti stessi, non può non sottoporre questi alle più minuziose indagini; nulla per lei dev'essere insignificante, tutto essa osserva, tutto confronta; ma, ripeto e riteniamo bene, compie questo lavoro, non perchè il particolare debba essere fine a sè, ma in quanto può concorrere a studiare qualche aspetto del documento.
La nostra scienza ha bisogno per raggiungere i suoi fini di essere applicata con metodo rigoroso: diversamente sarà facile cadere in gravi errori fondamentali. Il metodo si impone a tutti; non basta l'ingegno, nè basta avere una visione chiara del problema; queste condizioni, ottime senza dubbio, se scompagnate dal metodo, sebbene possano portare luce in una data questione, non impediranno di fare passi indietro, mentre la scienza vuole e deve procedere sempre avanti nel suo cammino, sia pure a passo lento. E qui non parlo del metodo speciale diplomatico, ma del metodo storico in genere, che mette lo studioso in grado di esercitare la vera critica. Essenzialmente storico è il metodo dei lavori diplomatici, e troppa fortuna sarebbe se la nostra scienza non fosse anch'essa esposta ai medesimi pericoli che insidiano la storia. Metodo storico implica critica e critica implica soggettivismo, cioè pericolo continuo di ipercritica, così per i principianti come per gli esperti; anzi maggior pericolo forse per questi che per quelli, poichè i più esperti, riponendo grande fiducia in sè, cessano talvolta di essere avveduti, ed essendo inoltre in grado di considerare il fatto diplomatico singolo in relazione con molti altri fatti, assurgono a concetti generali e sistematici che possono suggestionarli nella critica; e pur troppo questo avviene più spesso che non vorremmo. E il rimedio contro siffatto pericolo sta nello stesso metodo severamente critico che al pericolo ci ha esposti. A rigor di logica siamo cosi in un circolo vizioso; ma non vi è scienza storica che possa procedere senza superare col buon senso, con la moderazione, con la finezza del senso critico, questi ed altri simili pericoli.
Storia e diplomatica differiscono certamente per lo scopo che si propongono e in molta parte anche per le vie che percorrono, nè occorre dimostrare che nella maggior parte dei casi diplomatista non equivale a storico. Ma è pur vero, che molte altre volte non si può dire con sicurezza dove debba arrestarsi il diplomatista e principiare il lavoro dello storico, o viceversa. Questo deriva dalle forti relazioni tra le due discipline e più ancora dal fatto, che gli studi diplomatici sono poco divulgati e scarso è il numero dei documenti editi criticamente, vale a dire dalla diplomatica offerti alla storia come fonti del tutto sicure in ogni loro parte. Se esaminiamo i lavori poggiati su documenti, che si vanno facendo da storici, specialmente intorno al Medioevo, vedremo che sono in gran parte il risultato di una combinazione di ricerche e di osservazioni, proprie le une della storia, le altre della diplomatica, condotte con metodo storico?diplomatico. Infatti chiunque si accinga a studiare direttamente un documento d'archivio, dovrà anzitutto saperlo leggere; dovrà trascriverlo con esattezza, fissarne la data, riducendola, all'occorrenza, al computo moderno; dovrà indagare se sia originale, autentico o falso, quale sia la sua fonte; dovrà studiare il genere dell'atto per meglio apprezzarne il valore storico?giuridico; in molti casi sentirà la necessità di avere notizie della persona che lo ha dettato o che l'ha scritto, cioè di conoscere il funzionamento della cancelleria o del notariato, in altri casi di allargare lo studio al valore di alcune formule o di speciali segni; gli converrà indagare il riferimento degli elementi cronologici sia per non fare deduzioni errate sull'itinerario dell'autore o di altri personaggi, sia per collocare i fatti e le notizie del testo nel loro preciso momento storico rispetto alle fasi della compilazione e alla data. Insomma il cultore della storia sente necessario, quasi ad ogni passo, il sussidio della diplomatica; e se non avrà imparato almeno le prime nozioni della nostra scienza, si troverà chiuse promettenti vie di studi o dovrà rinunziare ad alcuni risultati delle sue indagini, quando non corra il pericolo di fondare tutto il suo lavoro su materiale mal sicuro e alle volte anche interamente falso.
Occorrerà, sia pure come conclusione, aggiungere parola sull'importanza di una Scuola di Diplomatica?
Non penso ad un insegnamento elementare, inteso solo come sussidiario alle scienze affini, insegnamento che si dovrebbe avere accanto ad ogni cattedra di storia, di diritto, di filologia, di paleografia e di archivistica, ugualmente utile se impartito in una facoltà letteraria o giuridica o presso una biblioteca od un archivio, bensi ad una vera Scuola, dove la diplomatica sia considerata come scienza non soltanto complementare, ma avente un campo a sè ed un lungo cammino proprio da percorrere, che abbia a' suoi servizi, e per raggiungere i fini che si propone, tutti i mezzi che le altre discipline le possono fornire; una Scuola attiva nel più ampio senso, che, mentre insegna le nozioni acquisite, mostri praticamente come si applichino e lavori pur essa; una Scuola di metodo, nella quale i giovani, opportunamente disciplinati nella critica, siano rivolti allo studio dei documenti come fonti storiche, che impareranno anzitutto a decifrare, a vagliare, a illustrare e a pubblicare.
A siffatta Scuola di Diplomatica non potrebbe in certo qual modo rispondere in Italia la Scuola di Paleografia del nostro Istituto? Fu fondata sull'esempio della celebre École des Chartes di Parigi, non senza qualche speranza che potesse divenire scuola ufficiale degli archivisti e dei bibliotecari d'Italia; ma, per ragioni varie, che sarebbe lungo e fuor di luogo esporre in questo momento, non è stato raggiunto un tal fine, sicchè essa ha ora unicamente un intento scientifico, cioè di indirizzare i giovani cultori degli studi storici alle ricerche archivistiche, alla lettura dei manoscritti e delle carte, greche e latine, e alla critica dei testi; in altre parole è riuscita principalmente una scuola complementare all'insegnamento della storia, che nel glorioso Istituto Fiorentino ha tanta importanza.
E chi è stato il benemerito fondatore di questa Scuola? Uno storico illustre, lo storico del Savonarola, del Machiavelli, delle origini del Comune di Firenze; e il nome di Pasquale Villari, che tutta Italia onora, ma a noi è particolarmente caro e venerato, ci sia sempre di incitamento e di augurio: a me per quello che sto facendo col pensiero rivolto alla Scuola; a voi, giovani, per un luminoso avvenire scientifico.

[1] In senso ristretto, e di uso più tecnico, si adopera il vocabolo diploma per designare gli atti sovrani o di pubbliche autorità.